La biodiversità, in particolare l'agrobiodiversità, può essere un'opportunità per migliorare i prodotti e i servizi, efficientare i processi di filiera e sviluppare nuovi modelli di business. Inoltre, può rendere le piante coltivate più flessibili ai cambiamenti climatici.

Di questo tema si è parlato lunedì 8 aprile in un webinar dal titolo "La biodiversità come fattore di innovazione. Istituzioni, tecnici e imprese agricole a confronto".

 

"Per agrobiodiversità si intende un sottoinsieme della biodiversità che si focalizza sulla diversità delle varietà vegetali e animali utilizzati nell'agricoltura e nell'allevamento. Quindi a differenza della biodiversità l'agrobiodiversità si concentra sull'uso e la gestione che l'umano attua sulle risorse vegetali e animali" spiega Stefania De Pascale, professoressa dell'Università degli Studi di Napoli Federico II.

 

Il webinar è stato organizzato da Ismea, nell'ambito del Programma della Rete Rurale Nazionale, in collaborazione con l'Accademia dei Georgofili e coordinato da Ivano Valmori, direttore responsabile di AgroNotizie® e ceo di Image Line®.

 

Sono intervenuti Nicola Lasorsa, responsabile della Direzione Gestione del Rischio in Agricoltura di Ismea, Stefania De Pascale professoressa presso il Dipartimento di Agraria dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, Emanuela Milone agronoma dei Vivai Milone, Vincenzo Pisa presidente della Cooperativa Rinascita Valledolmo, Walter Guerra responsabile dell'Istituto Frutti e Viticoltura dell'Istituto Laimburg, Silvia Folloni direttrice operativa di Open Fields e Tommaso Frioni ricercatore dell'Università del Sacro Cuore di Piacenza.
Nella parte finale dell'incontro sono intervenuti i rappresentanti Antonio Capone del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali, Filippo Moretto del Collegio Nazionale degli Agrotecnici e Agrotecnici Laureati e Piero Actis del Collegio Nazionale dei Periti Agrari e Periti Agrari Laureati.

 

Vivaio: il primo step di innovazione per l'agricoltura

La produzione vivaistica, in particolare quella frutticola, rappresenta il punto di partenza di tutta la filiera agroalimentare ed è per questo che è ritenuto un settore strategico. E in tale contesto assume particolare rilevanza la sanità del materiale di propagazione che può essere ottenuta tramite la certificazione delle piante.

 

"La pianta certificata possiede e fornisce una doppia garanzia: sanitaria e genetica. La qualità fitosanitaria garantisce l'assenza di organismi patogeni e mitiga il rischio di diffusione delle malattie - spiega Emanuela Milone, agronoma dei Vivai Milone -. Mentre la qualità varietale è un grosso valore aggiunto delle piante certificate, perché dona rispondenza per le caratteristiche dei frutti e per il periodo di maturazione, entrambi tratti fondamentali per collocare il prodotto sul mercato".

 

Non solo però: oggi ai giovani imprenditori viene richiesto di utilizzare meno input mantenendo elevata sia la quantità che la qualità delle produzioni. E per raggiungere questi obiettivi una strada da percorrere è quella finalizzata a recuperare vecchio germoplasma autoctono, come per esempio quello di risanare vecchie varietà di agrumi calabresi per la selezione di nuovi portinnesti maggiormente adattabili.

 

"Come azienda stiamo propagando delle antiche varietà risanate dal Crea - Sperimentazione e Formazione in Agricoltura Basile Caramia di Locorotondo, nello specifico arancio biondo di Caulonia e limone interdonato - entra nel dettaglio Milone -. E stiamo propagando piante di varietà nota su nuovi portainnesti, in particolare clementine sra63 su questi tre portainnesti: f6p12, c22 e c57. Con l'obiettivo di verificare l'adattabilità di questi tre ai diversi ambienti pedoclimatici calabresi".

 

Il recupero, il risanamento e la disponibilità di materiale vegetale autoctono sono possibili grazie alle classiche  tecniche di propagazione ed affiancate dalla tecnologia della micropropagazione.

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La micropropagazione, infatti, consente di produrre in quantità elevate in poco tempo e senza grandi spazi a prescindere dalla stagionalità. Inoltre, questa tecnica è ideale per propagare specie rare recalcitranti al taleaggio e viene annoverata fra i sistemi per il mantenimento della biodiversità ex situ.

 

"Il vivaio rappresenta il link fra il mondo della ricerca e il mondo produttivo; quindi, deve essere necessariamente un passo avanti per riuscire a trasferire l'innovazione al comparto agricolo. Per poter garantire tutto questo il vivaismo deve investire costantemente, continuare a ricercare ed aumentare la propria sostenibilità, e tutto questo è possibile solo facendo innovazione" conclude Milone.

 

Ecotipi e tecniche colturali: il caso del pomodoro siccagno

Anche in Sicilia gli orticoltori devono fare i conti con la scarsità idrica e le temperature sempre più elevate e prolungate durante l'anno, creando diverse sfide alla coltivazione del pomodoro. Una soluzione però si potrebbe trovare in varietà che si sono adattate naturalmente alla zona pedoclimatica di origine: "L'utilizzo di varietà antiche, cioè di ecotipi locali, ci ha consentito di portare avanti il nostro sistema di coltivazione. In questo caso nella nostra regione parliamo del pizzutello, un ecotipo locale abbastanza tollerante alle alte temperature e alla siccità" spiega Vincenzo Pisa, della Cooperativa Rinascita.

 

Questa varietà antica ha radici a fittone molto profonde che riescono a raggiungere riserve idriche difficilmente accessibili. Grazie a queste caratteristiche fisiologiche nasce l'idea di coltivare il pomodoro senza l'apporto di acqua: "Questo sistema di coltivazione viene chiamato in siccagno".

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La tecnica in siccagno sfrutta al meglio le caratteristiche fisiche del terreno, che nelle zone di coltivazione siciliane presenta il giusto equilibrio fra argilla e sabbia. L'argilla, infatti, tende a trattenere maggiormente l'umidità, mentre la sabbia rende il suolo più lavorabile nei periodi di forte siccità. Vengono sfruttati anche gli sbalzi termici fra il giorno e la notte: "Abbiamo principalmente terreni che sono esposti a Nord e si trovano a 600-700 metri sul livello del mare. Questo fa sì che la pianta si rinvigorisca durante la notte" entra nel dettaglio Pisa. Vengono poi applicate rotazioni colturali e rincalzature per integrare la sostanza organica, diminuire l'evaporazione dell'acqua e diminuire l'erosione dei suoli.

 

In termini produttivi il pomodoro siccagno ha delle rese molto inferiori rispetto ad un tradizionale pomodoro irriguo. In compenso però tutte le qualità organolettiche della bacca sono esaltate: la buccia è di un rosso intenso dovuto alla maggiore concentrazione di beta carotene e di licopene, la polpa ha un alto contenuto di zuccheri e di vitamine A e C.
Questa esaltata qualità organolettica si traduce poi in un valore di vendita maggiore per l'azienda agricola che lo produce.

 

In conclusione, l'utilizzo di tradizionali tecniche agronomiche affiancate alla coltivazione di ecotipi locali rustici può essere una valida soluzione per abbassare l'uso gli input agronomici (lavorazioni, fertilizzanti e diserbanti, irrigazione), produrre una bacca dalla spiccata qualità nutrizionale valorizzando così un prodotto locale e rendere al contempo questo settore più resiliente.

 

Germoplasma selvatico per nuovi meleti

Quando si parla di mele l'immaginario comune solitamente le associa alle montagne dell'Alto Adige, anche se il centro di origine del melo non sono le montagne altoatesine ma bensì le montagne del Kazakistan, al confine con la Cina settentrionale, in cui questa arborea si è evoluta.
"Gli studi genetici recenti hanno constatato che proprio Malus sylvestris, ovvero la specie selvatica originaria del Kazakistan è il bis bis nonno del nostro melo" dice Walter Guerra, responsabile Istituto di Frutti e Viticoltura del Centro di Sperimentazione Laimburg.

 

Nel suo centro di origine Malus presenta una variabilità genetica molto ampia per la pezzatura, le caratteristiche qualitative, le resistenze agli stress e l'adattabilità ai diversi ambienti. Questa diversità genetica e fenotipica è fondamentale da poter usare come fonte di caratteri interessanti per il miglioramento genetico.

 

La costituzione di nuove varietà e cultivar non solo utilizza le mutazioni spontanee dei cloni ma studia anche gli antichi genomi: "Qui a Laimburg abbiamo una grande collezione di vecchie varietà che vanno valutate per la loro idoneità ad essere ancora coltivate, ma soprattutto ad essere usate come risorse di geni che noi attraverso il breeding portiamo nelle nuove cultivar - continua Guerra -. Quindi utilizziamo il vecchio per sviluppare qualcosa di moderno".

 

A livello globale solo per il melo esistono difatti più di cento programmi di breeding e trentamila varietà registrate. Perché quindi continuare a migliorare questa coltura?
"Cambiano le tecniche di coltivazione, ad esempio l'introduzione di nuovi impianti multi-asse e bi-dimensionali che stiamo sviluppando, i mercati di destinazione, i gusti e le abitudini dei consumatori. Ma cambia anche il clima e cambiano di conseguenza anche i patogeni". L'obiettivo del breeding perciò è quello di rendere la melicoltura velocemente adattabile ai mutamenti climatici considerando anche che le nuove cultivar saranno disponibili per il mercato fra 10 o 20 anni.

 

Le risorse genetiche antiche inoltre sono utili per creare portinnesti meno vulnerabili a malattie e patogeni (colpo di fuoco batterico, la fitoftora, l'afide lanigero e gli scopazzi) ed essere anche tolleranti a siccità e asfissia radicale.

 

"Tante sfide quindi ci aspettano e una delle poche vie per ovviare a queste è quella di un utilizzo mirato, sensato e basato anche su dati delle nostre risorse genetiche a livello sia globale che locale, come nel caso dell'Alto Adige" conclude Guerra.

 

Frumenti eterogenei, un'opportunità per la montagna e l'alta collina

"Alcuni progetti come i gruppi operativi Bio2 e Breed4Bio hanno testato come la biodiversità cerealicola rappresenti una strategia di adattamento al cambiamento climatico. Ovvero come la coltivazione di popolazioni evolutive possa contribuire a trasformare sfide in opportunità, promuovendo una dieta sana e sostenibile" spiega Silvia Folloni, direttrice operativa di Open Fields Srl.

 

La coltivazione di popolazioni eterogenee di grano potrebbe aiutare a preservare la biodiversità già presente nei territori di montagna e di alta collina. Difatti la presenza nello stesso appezzamento di diverse specie di frumento si traduce in un'alta diversità genetica, che consentirebbe all'azienda agricola di adattarsi meglio agli stress biotici ed abiotici, e a mantenere una produttività stabile nel tempo. Inoltre, gli incroci naturali e casuali che avverrebbero fra le popolazioni porterebbe ad aumento dell'agrobiodiversità e fungere da fonte di nuovi geni.

 

"Dal 2015 la Commissione Europea ha stabilito la possibilità di commercializzare semente di materiali che non sono definibili come distinguibili, uniformi e stabili. Ha quindi definito la possibilità di intraprendere questo esperimento per avena, orzo, frumenti e mais. Definendo anche che tali popolazioni dovevano essere ottenute da un incrocio di cinque o più varietà, seguito poi dalla riunione della progenie, e quindi dalla coltivazione dell'intero bulk" conclude Felloni.

 

I progetti citati a inizio paragrafo hanno valutato la qualità dei pani ottenuti dalle farine dei frumenti eterogenei presi in esame e la qualità della semente. Per la qualità dei pani nessuno ha raggiunto la definizione di "pane ideale", ma i test hanno evidenziato una particolare popolazione chiamata Icarda che ha presentato un'ottima qualità tecnologica.

Tutti i risultati ottenuti sono stati poi sottoposti all'analisi di accettabilità che ha sottolineato la buona qualità delle farine anche se derivanti dalle popolazioni eterogenee.

 

Per l'analisi della semente invece si sono presi in considerazione diversi parametri (purezza specifica, numero di semi estranei, analisi della germinabilità e valutazione dell'impatto della lavorazione). Dai risultati è emerso come la lavorazione fosse condotta in modo corretto; quindi, per la maggior parte delle parcelle è risultata efficace senza modificare la composizione fenotipica della popolazione. Inoltre, non sono state riscontrate patologie e semi di piante infestanti.

 

L'utilizzo di questi frumenti è ancora in una fase pionieristica e presenta, seppur contenuta, ancora una marginalità per le imprese ma secondo gli studi effettuati sarebbe possibile creare un'economia di scala grazie ai rapporti di filiera.

 

Nuove e antiche risorse per il vigneto del domani

Anche la viticoltura deve affrontare diverse sfide, prima fra tutte l'innalzamento delle temperature. Infatti, il fenomeno che preoccupa maggiormente i viticoltori sono gli stress estivi, come spiega Tommaso Frioni, ricercatore presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza: "Ci troviamo a dover produrre con un aumentata frequenza di stress estivi, ossia il verificarsi in simultanea di carenza idrica ed eccesso termico. Quindi temperature molto elevate assieme a periodi siccitosi in giornate luminose che comportano sulla pianta stress idrico, termico e radiativo".

 

La pianta in risposta a questi eventi stressanti perciò chiude gli stomi, bloccando il processo di fotosintesi e la fissazione del carbonio, con scompensi nell'accrescimento vegetativo e nella formazione dell'acino, a seconda della fase fonologica in cui si trova la vite. Se poi tali condizioni persistono, cominciano ad apparire ingiallimenti fogliari, aumenta la degradazione di acido malico nelle uve (con abbassamento della qualità degli spumanti), e nei casi più gravi insorgono scottature e disseccamento dei grappoli. Ed è in questo contesto che la diversità genetica del genere Vitis può essere decisiva.

 

In particolare, sono numerosi in Italia i vitigni autoctoni minori accantonati negli anni perché poco rispondenti alle esigenze del secolo scorso, ma che possiedono caratteri oggi invece assai desiderabili quali una maturazione tardiva, elevate concentrazioni di acido malico nelle uve, o una buccia spessa resistente alla disidratazione. Sull'altro altare, c'è l'innovazione varietale dei vitigni Piwi resistenti.

 

"Sono oggi disponibili per la coltivazione diverse varietà resistenti alle crittogame, alcune particolarmente apprezzate anche per le loro caratteristiche enologiche, più o meno riconducibili a uno dei classici vitigni da vino. Resta in sospeso il loro adattamento a stress estivi che colpiscono ormai anche le zone a clima più fresco e la gestione della maturazione delle uve".

 

Vari gruppi di ricerca si stanno peraltro muovendo per identificare le porzioni di genoma che codificano ad esempio per il mantenimento dell'acidità nei mosti e la tolleranza allo stress idrico. L'eventuale apertura alle tecniche di evoluzione assistita potrà segnare un cambio di passo in tal senso. Infine, per la ripresa del comparto, il settore è anche chiamato a riesaminare la scelta varietale in termini di portinnesti, che sono la vera interfaccia della pianta con il suolo per reperire acqua e nutrienti. In sintesi l'adattamento della viticoltura al cambiamento climatico può passare per strade anche molto differenti, ma con un denominatore comune: la diversità del genere Vitis.

 

Questo articolo è stato modificato in data 3 maggio 2024 nel paragrafo "Nuove e antiche risorse per il vigneto di domani" e nel virgolettato dell'intervento del dottor Tommaso Frioni